Restaurant / 1

Ad Arles vado in un ristorante che sconsiglio caldamente. Non lo faccio quasi mai, ma devo dire che quasi mai mi è successa una cosa del genere. Cominciamo dal servizio. Ci fanno accomodare a un tavolo la cui caratteristica era una tovaglia usata e lurida. E già me ne voglio andare. Quando ce la cambiano, ci portano una striscia centrotavola, detta anche runner (per quelli precisi precisi), con due macchie. La foto non è un granchè, ma se osservate in alto, l’alone giallognolo non è dato dai miei poteri da pranoterapeuta, ma dalla bava/sgocciolamento di qualcuno o di qualcosa.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

E qui capisci che han preso alla lettera il termine perchè quella striscia di tessuto usata e riusata, dotata di vita propria e annoiata a stare sempre là fissa e statica, di sicuro sapeva correre. Verso la lavatrice? Un secchio? Almeno un sapone di Marsiglia? Magari. Questa poteva fare la maratona di NY, comoda comoda e sperare in un buon piazzamento. Forza runner!! I tovaglioli, color cipria e a pois (che con il runner fucsia era la morte per infarto del buongusto), erano in acrilico misto nylon misto polietilene espanso. Avevano una carica statica che invertivi ogni volta che ti asciugavi la bocca. Presentazione epica. Nel senso che speri che arrivi Zeus travestito da qualcosa a portarti in qualche isola del Mediterraneo o che entrino i Titani, anche.

Le ordinazioni sono state: medaglioni di toro con tortino di patate e verdure di stagione e un magret di anatra. Arriva un minuscolo tortino con uovo ancora crudo e trasparente a tratti; verdure mangiabili; medaglioni (2) composti da pezzi di carne alti circa un centimetro tenuti insieme da qualcosa di gelatinoso e con retrogusto di scatoletta. Senza voto. Il magret o petto di anatra era molto magret e composto da tre fettine (di solito te ne danno mezzo petto, come minimo), al cui grasso era ancora attaccata parte di una penna. Forse per rassicurarci del fatto che fosse proprio un pennuto. Non so perchè, ma non mi son sentita rassicurata… A quel punto mi butto sul pane cercando conforto e trovo del pane usato dai tedeschi come micidiale arma di distruzione (altro che bombe e granate! Usa anche tu il pane raffermo per massacrare il nemico: economico ed ecologico!!) e poi trafugato dai partigiani passando la linea di Vichy. Un reperto bellico o un cimelio di famiglia, insomma. Chiedo, per riuscire a deglutire tutto questo, un bicchiere di rosé. La cosa più buona del ristorante. Che, ammettiamolo, non è proprio un complimento. Un po’ come mangiare pesce crudo e fare i complimenti allo chef di cucina. Poi ci han servito tre persone diverse, che si scontravano con la mia borsa per questioni di carattere, suppongo, e quando abbiamo deciso che era il caso di levarsi dai piedi, li abbiamo dovuti pregare per il conto. Gentilezza: non pervenuta.

Vado su un noto sito di consigli su dove andare a mangiare ad Arles per esprimere il mio disappunto. Trovo Le Plaza, ristorante di cui sopra, con le recensioni relative. Tutte abbastanza positive, alcune entusiaste. Ora, ma la gente mangia segatura con l’olio dei freni di solito??? Consigliare questo ristorante è come consigliare Guantanamo come villaggio vacanze o ‘Cinquanta sfumature di grigio/nero/rosso’ come manuale per gli scout (che poi di nodi e di corda se ne parla…)! No, dai, siamo seri. Voto complessivo: andate a mangiare un kebab.

Aggiornamento: dopo quasi 15 giorni, il noto sito decide di pubblicare la mia Recensione

Aneddoti culinari / 1

Comincio con il raccontare alcuni aneddoti che trovo divertenti.

  1. In Camargue decidiamo di andare a Le Tamaris. La seconda sera di fila, il cameriere prende confidenza. Troppa. Io: ‘Io prendo il plateau di crudo con i murici’ Si trattava di un piatto grande come il tavolo, per capirsi, che avevo ordinato anche la sera prima e che avevo svuotato suscitando l’ammirazione dei ristoratori. Cameriere (verso il mio accompagnatore, facendogli anche l’occhiolino): ‘Perchè non la porta in pescheria? Fa prima, no?’
  2. Ristorante di Milano, ora chiuso, mentre sto mangiando un piatto enorme di spaghetti con l’astice, mi sento dire: ‘Signorina! Ma mangi più in fretta! Guardi che è un peccato mangiarla fredda!’ E qui ti parte un ‘Ma fatti i ca**i tuoi! Ma chi ti ha chiesto niente?? Ma cosa faccio? Mi strozzo per farti un piacere??? Ma ce la fai??’ Invece sorrido mentre spero che inciampi sul gradino poco distante e che si fratturi il setto nasale. Non ho pregato abbastanza forte.
  3. Ero a Milano, circa un tre anni fa, e decidiamo di andare in un bel ristorante. Ci fanno quindi accomodare ad un tavolo del ristorante La Veranda e mentre stiamo gustando l’aperitivo arriva un signore con due signorine molto gentili (leggi due meretrici, ma di basso bordo, no, magari di bordino, no, vabbé, manco d’asola). A parte la caciara delle due che si stupivano di qualunque cosa, tipo che ci fossero i tovaglioli e le posate, alla domanda se volessero qualcosa con il tartufo bianco di Alba, una delle due ha risposto : ‘No, per carità ! Quella cosa puzza da morire. Ogni volta che lo sento sbocco !’ Fine.  Molto fine. Perplessità della sala e difficoltà a guardare, in seguito, qualunque salsa con gli stessi occhi. Ristorante che comunque non mi è piaciuto molto, da cui la famosa frase: ‘Portami dove vuoi, tranne al Four Season’. Ecco, detta cosi’ sembra una cosa molto snob, ma in realtà il problema è che in quel ristorante mi sono sentita molto a disagio per la gente che c’era e per il personale. Sul cibo, niente da dire. Per una volta.
  4. All’Harry’s Bar di Venezia mangio del riso con gamberi al curry, solo che mi sbrodolo e una parte del contenuto finisce inevitabilmente sulla tovaglia. Quando il cameriere arriva per portare via il piatto, vede il disastro e mi guarda come se fosse mia madre e avessi rovinato la tovaglia del corredo della nonna. Mi faccio piccola piccola e non mi prendo uno scappellotto per un filo. Quando mi porta una tovaglietta pulita, che appoggia su quella sporca, se ne esce con un : ’Di là ne abbiamo un sacco !’. Grazie per la fiducia…